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Nella sorpresa dell'Abbaglio di Roberto And? al Lecco Film Fest
Ilcinematografo
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31/07/2024
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Mi è stato chiesto di presentare un film chiave per me, un film che ha influito, che
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ha ispirato la mia carriera e io ho scelto Salvatore Giuliano per molti motivi, in qualche
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modo ho capito la Sicilia anche attraverso certe fotografie, certi romanzi e sicuramente
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per quello che riguarda il cinema questo film è stato uno dei modi in cui ho capito che
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il cinema poteva avere una potenza, una capacità di imbrigliare il caos in cui è immersa l'isola
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e a distanza di tempo io poi chiesi a 19 anni a Rosi di fare il suo assistente e lo feci
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per Cristo si è fermato a Eboli e lì nacque questa grandissima amicizia che è durata
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fino a quando poi Rosi non è andato via, insomma molto in là con l'età perché ormai
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era 95 anni, è un film svolto, è un film che ha una libertà e in qualche modo ha rappresentato
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una rivoluzione della forma, è un modo di affrontare la materia civile attraverso un
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linguaggio che è proprio cinema, sicuramente Rosi è un riferimento per vari motivi, sicuramente
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è stato uno dei registi più coerenti della nostra cinematografia perché ha come se avesse
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fatto un unico film sul potere, sul rapporto tra il potere e i cittadini, sulla criminalità,
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nello stesso tempo quello che rimane dentro per un cineasta come me che ha ovviamente delle
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differenze, una sua una sua voce è l'avere capito con lui come si può affrontare con
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libertà e rigore una certa materia narrativa e quindi l'uso per esempio di non professionisti
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accanto a professionisti come Gian Maria Volontè, questo era qualcosa che sui suoi set si
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respirava quotidianamente e penso di essermelo portato dietro. Prima di vedere il film volevo
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solo chiederti una cosa sempre su Francesco Rosi, noi lo conosciamo, è uno dei nostri registi più
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importanti e forse più seminali, ricordiamo sempre il caso Mattei, i cadavere eccellenti,
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ma tu da cultore e anche da sodale, da amico, vorresti raccomandare al pubblico un film
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magari più periferico della sua filmografia che però restituisce la grandezza e anche l'eclettismo
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di questo autore. Ci sono molti film che in qualche modo sono ancora un po' negletti di Rosi,
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uno che è un cruccio suo terribile è Uomini Contro che è stato uno dei più grandi film di guerra nel
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mondo. Contro la guerra. Sì diciamo di guerra nel senso che parla della guerra però è un film non
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visto, il Rai non lo manda in onda, pensava che questo tipo di antimilitarismo non passa
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nelle serie, non è funzionale e quindi è un film scomodo, tra l'altro è tratto come sempre in Rosi
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sono delle scelte non solo shasha come appunto letteratura testimoniale ma anche lusso perché
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questo è un anno sull'altipiano di lusso. Poi io direi un film straordinario che è dedicato a una
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sua passione, è un film che lui considerava tra i più importanti della sua carriera però in realtà
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è sempre passato un film così interlocutorio, il passaggio dalle opere ragioni ed è il momento
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della verità, dedicato alla figura di un torero quindi alla corrida come rito sociale di cui lui
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era un grande cultore. E l'altro film che vi consiglio di rivedere perché anche quello si
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vede poco ed è invece legato a un grandissimo libro, uno dei più belli della letteratura italiana
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Cristo si è fermato a Eboli, il viaggio di Levi confinato ad Ariano e nelle terre della Lucania
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è un libro che Rosi ha tratto, da cui ha tratto un bellissimo film che è andato
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per televisione con Giammaria Volontè al massimo della sua grazia. Ecco il film in cui io l'ho
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conosciuto e frequentato perché lo faccio l'assistente. Roberto Andò
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in dialogo con Valerio San Marco della rivista del cinematografo.
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Piacere di essere un altro, Roberto Andò in dialogo con Salvatore Ferlita con le fotografie
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di Lia Pasqualino che è la moglie di Roberto Andò, fotografa e sodale anche di Radizia Battaglia,
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una grandissima fotografa che Roberto ha omaggiato con un film in due puntate, con Isabella Raconese.
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E trago subito spunto da alcuni passaggi di questo libro fondamentale secondo me per scavare
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in alcuni angoli nascosti, se vogliamo, di quello che è il percorso di vita e di carriera di Roberto
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Andò. C'è una cosa molto bella e molto importante, ascoltare Roberto Andò significa partecipare
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alla felicità della sua intelligenza, quindi questo pomeriggio voi sarete partecipi di questa felicità.
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Spero non siate delusi. Roberto, L'Abbaglio arriverà al cinema dopo un grandissimo successo
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rappresentato dalla stranezza, un film che ci ha riaperto come spettatori al piacere del film
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in sala dopo le chiusure della pandemia, un film che ha riscosso una risposta critica di pubblico enorme
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e in un certo senso, pur cambiando scenari, pur cambiando periodo storico, perché siamo nel 1860,
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questa volta però trae sempre spunto dalla storia. Nella stranezza era Perandello che traeva
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ispirazione da due personaggi inventati per costruire il suo capolavoro, sei personaggi in
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cerca d'autore, stavolta è il generale Orsini, sempre interpretato da Servillo, che dovrà tirare
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su questa colonna di gente raccattata per strada, per appunto abbagliare i borboni e fargli credere
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che Garibaldi se ne stia andando con le sue truppe, con i suoi mille. Mi piace giocare con la storia,
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cioè mi piace partire da un dato storico, trovare uno spazio dove si possa insinuare l'atto
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fantastico. Chiaramente qui c'è un episodio molto interessante, quasi misconosciuto, della vicenda
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dei mille che mi ha sempre appassionato, questo momento in cui Garibaldi si rende conto che non
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ce la può fare a entrare a Palermo, cosa fondamentale per la sua vittoria e conquista strategica del
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territorio, e chiede a questo palermitano, a questo colonnello Orsini, uomo molto singolare,
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perché è un aristocratico che ha tradito la sua classe ed è diventato un giacobino, è diventato
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un uomo che vuole la libertà, sarebbe stato naturalmente nelle file borboni, che invece passa
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al nemico, sia nel 48, poi dopo le delusioni del 48 va a Costantinopoli, addirittura fa una
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specie di avventura esistenziale con l'esercito turco e poi ritorna con Garibaldi. Garibaldi gli
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chiede di fare un atto disperato, cioè di fare questa colonna, che fatalmente è una colonna di
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persone che non possono essere più utili, quindi i feriti, quelli che ormai sono fuori causa, e lui
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deve far credere a questo von Meggel che è l'unico professionista, che i borboni non sapevano fare
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la guerra, sapevano vigilare il territorio con il pugno di ferro, ma non sapevano fare la guerra,
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quindi non sapevano come affrontare questi garibaldini, pensavano che fossero pochi, che
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fossero quattro straccioni, così, e invece si trovano davanti l'estro di Garibaldi e l'entusiasmo
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di tutti quelli che lo seguirono e Orsini riesce a fare questa cosa. Ovviamente questo è il punto
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di partenza del film, questa correzione fantastica di un dato reale che ti permette di andare oltre
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la storia, di raccontare qualche cosa che ha a che fare con quello che interessa a noi narratori,
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cioè cogliere un cuore umano, un segreto nei ricorsi storici, quindi qualche cosa che ti
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riporta fatalmente anche all'oggi. Anche in questo film, L'Abbaglio, la commedia poi travalica nella
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tragedia e viceversa, ma è questo stare vicini che mi interessa. Anche questo, se vogliamo, è stato
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una delle cose che ha capito bene sicuramente della Sicilia Pirandello, perché sosteneva che
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non ci potesse essere fin in fondo tragedia in Sicilia, perché anche a un funerale c'è un momento
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di larità mostruoso quando si incontrano, e questo è, chiunque vive nel sud sa che è così, non c'è
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niente da fare. Io ho fatto quel film, Vive la libertà, molti poi l'hanno equivocato, dicevano
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ma perché Andò voleva un titolo leggero, perché il romanzo si chiamava Il trono vuoto, che in effetti
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è più impegnativo, e invece no, era una citazione di un film di Pasolini, La rabbia. Nella rabbia,
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a un certo punto Pasolini grida con la sua voce, viva la libertà, viva la libertà, viva la libertà,
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lo dice, non so, 15 volte, e poi dice, è facile dire viva la libertà, ma bisogna meritarsela.
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I giovani borghesi non lo possono dire, ma mi è sempre colpito questa frase, tanto perché dice
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molto sull'uso di questa parola, che a volte è molto improprio, difatti noi vediamo che molto
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spesso le più varie etichette politiche declinano questa idea tradendola, e nello stesso tempo dice
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molto perché fa capire che è una conquista la libertà. C'era prima un recinto preciso che era
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quello del cinema d'autore, che aveva anche però la commedia, che aveva anche i generi, che aveva
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anche declinazioni molto diverse, e oggi è tutto cambiato, quindi questa cosa qui, insomma, del
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trovare dentro di sé la duttilità che il cinema richiede, perché il cinema richiede duttilità.
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Duttilità significa la capacità anche di vedere le cose in un altro modo, di poter continuare un
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film anche se ci sono delle difficoltà, e nello stesso tempo l'intransigenza. Ti chiedo qual è il
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rapporto che hai con le immagini? Sei il marito di una fotografa, sei stato un grande amico di
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Delizia Battaglia, l'hai raccontato come dicevo prima in un film per la tv in due puntate, e con
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l'immagine oggi ce ne sono troppe, siamo troppo facilitati nel raggiungerle, non c'è più quella
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fatica di andargli incontro? Anche quello credo che sia un grosso problema, andare a ritrovare
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questa tensione per cui l'immagine è necessaria, per cui non ti accontenti dell'immagine e cerchi
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qualche cosa che l'immagine non ti dà, questa è un po' la nostra ossessione io penso. Roberto Andò
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