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Aspettando Re Lear di Alessandro Preziosi
Ilcinematografo
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05/05/2025
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Cortometraggi
Trascrizione
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Arriva, José.
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Ho deciso di dividere il mio regno
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e così scavarmi di tutto per affrontare più serenamente l'idea della morte.
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E ora a te, Cordelia, cosa sai dire per permettermi di intestare a te la parte più ricca d'estesa del mio regno?
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Niente, signore.
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La molla propulsiva di questo lavoro è stata indubbiamente la tensione che ho da quando faccio questo lavoro verso l'arte.
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Ma è una tensione esclusivamente di chi visita i musei e di chi vampirizza delle immagini, delle suggestioni
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e le riporta poi funzionalmente al proprio lavoro.
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Questo all'inizio della mia carriera.
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E viva questa cosa si è un po' affinata e quindi la coincidenza ha voluto che mentre allestivo lo spettacolo al Chiostro del Bramante
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in prova in una sala che mi era stata messa a disposizione
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c'era la personale di Michelangelo Pistoletto all'interno del Chiostro, proprio alla sua inaugurazione.
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L'ho incontrato e io ho parlato del progetto e ho detto ma che strano, anch'io ho tre figlie come Ray Lear.
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Le sue opere in qualche modo mi suggerivano qualcosa ma è strano come una balausta di ferro,
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un segno porto, una cornice, uno specchio con una persona dentro, un labirinto di cartone
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possano stimolare chissà quale fantasia cinematografia.
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E invece è proprio quello che mi ha spinto a cercare di combinare arte, cinema e teatro
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che è un po' tutto quello che ha accompagnato tutta la mia carriera.
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E quindi ho cercato di concentrare attraverso il testo di Shakespeare la grande capacità di Pistoletto
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di essere pertinente alla storia che stavo raccontando e di come far diventare quelle opere
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uno strumento di narrazione, tant'è che poi molte scene di questo documentario sono state girate
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al Palazzo Ducale, all'Arsenale e alla Fondazione Cini, luoghi di grande tradizione architettonica,
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artistica e pittorica nei loro ambienti.
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Detta così sembra molto facile, ma è stato l'incontro con l'arte, sicuramente è stato
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il motivo di cercare di combinare il cinema, il teatro, cioè lo spettacolo, perché poi
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il documentario parla chiaramente del making of e delle riprese laterali dell'opera teatrale
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e l'arte attraverso le opere di Pistoletto e la fondazione di cui lui è il custode, il suo
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a Biella, quindi attraverso tutto il suo percorso artistico, le sue dichiarazioni e quindi
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poi il cinema che è una conseguenza di questo incontro fra l'arte e il teatro.
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Si apre con un detto babilionese, fino a quando sono nella tua bocca le parole ne sei padrone,
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quando escono ne sei schiava.
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Questo forse è l'elemento più interessante del rapporto, che poi è il principio che è
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alla base di questo racconto, che è il rapporto fra padre e figlia, in questo caso, nel momento
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in cui i padri si relazionano ai figli con delle parole, delle richieste, argomentano un
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pensiero, un'emozione in maniera molto volta improvvisa, non controllata, non misurata
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alla sensibilità dei figli, possono succedere delle cose tremende, dei terremoti emotivi
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giganteschi e quello è il principio da cui parte proprio il rapporto che Cordelia, figlia
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di Lire, ha nei confronti del padre, il quale gli chiede di mettere sulla bilancia il suo
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amore rispetto alle terre che avrà in eredità.
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E questo è il problema delle parole di cui non si è più padroni nel momento in cui
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le si condivide con un figlio così giovane, gli effetti propulsivi di questo aforisma
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così antico li abbiamo sotto gli occhi in continuazione, sono le parole che sono in
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qualche modo, nel momento in cui vengono condivise, sono quasi diaboliche e quindi creano degli
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incidenti narrativi come è nel caso della nostra storia.
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se sono capaci di creare, mi genero continuamente, arrivato all'età di 90 anni mi sento generato
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quanto mai.
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Pistoletto dice a un certo punto che quando si nasce siamo antichi, siamo già vecchi
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perché ci vengono donate delle parole e piano piano diventiamo giovani.
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è verissimo, è forse la cosa che mi emoziona di più, che mi ha sorpreso di più, di cui
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non mi ero reso conto quando l'avevo intervistato e che poi nel combinare con le immagini è stata
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una riscrittura, cioè quando nasciamo abbiamo in eredità quello che è tutto il bagaglio
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dei nostri genitori, della cultura, dei movimenti, del come camminiamo, di come parliamo, di come
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mangiamo, di come osserviamo, dell'ambiente da cui siamo circondati e che poi via via ci assedia
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sempre di più. Dopodiché noi dobbiamo sviare, cercare di generare a nostra volta qualcosa
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di nuovo e io trovo che questa sia una rivoluzione di crescita del genere umano fantastica, cioè
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pensare che tutto quello che noi facciamo deve essere qualcosa di nuovo per poter lasciare
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a chi viene dopo di noi qualcosa che sia almeno un po' diverso da quello che abbiamo
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morito. Lo potremmo banalizzare parlando dell'educazione, riceviamo determinate cose
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dalla nostra famiglia che ci precede, che ci ha generato e a nostra volta cerchiamo di
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aggiustare il tiro rispetto ai nostri figli, i quali a loro volta genereranno qualcosa di
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nuovo rispetto ai tempi in cui si vive. Quindi da questo punto di vista Pistoletto, per quello
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che mi riguarda come regista e come pubblico mi ha veramente commosso. Sicuramente la cecità
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permette di essere un pochino più sintonizzati con quelli che sono i propri sentimenti, che
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poi alla fine sono quelli che condividiamo con tutti. Nel momento in cui non abbiamo e non
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siamo condizionati da ciò che la vista può mistificare o può tradurre in maniera sbagliata,
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ma abbiamo la possibilità di stare dentro, siamo tutti uguali. Questo credo che sia il
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messaggio che questa cecità ritrovata di Lear mi ha somministrato.
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Arriva la bufera!
Consigliato
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