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Francesco Vignarca: "Dietro il riarmo c'è la grande finanza, padrona delle industrie militari. Ma un'alternativa c'è"
Tiscali.it
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01/04/2025
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Vignarca, benvenuto. Buongiorno a voi, grazie dell'invito. Vignarca è coordinatore delle
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campagne della rete italiana Pace e Disarmo, è stato anche promotore e coordinatore di
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Control Arms per la richiesta di un trattato internazionale sul commercio di armamenti,
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poi approvato dall'ONU e entrato in vigore nel 2014. Ha fatto anche parte della campagna per
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la messa al bando delle armi nucleari, insegnita nel 2017 del Premio Nobel per la Pace, ma voglio
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anche citare il suo ultimo libro che è Disarmo nucleare, è l'ora di mettere al bando le armi
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nucleari, prima che sia troppo tardi, edito da altre economie. Vorrei partire proprio da questo,
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perché con la presa di distanza degli Stati Uniti dall'Europa, possiamo dire che l'arma
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nucleare sia tornata di moda. Sembra che anche per alcuni Stati, cito per esempio la Polonia,
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ma anche la Francia che offre un ombrello nucleare per l'Europa, questo deterrente sta
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diventando un'opzione necessaria, ma lo è veramente? No, in realtà se si andasse in
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questa direzione aumenterebbe l'insicurezza, aumenterebbero le problematicità e probabilmente
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i conflitti. Due elementi, primo io non credo che comunque gli Stati Uniti stiano abbandonando
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l'Europa, forse abbandonano la difesa dell'Europa, ma loro sono presenti qui più che altro per la
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loro proiezione militare e non tanto per difendere noi, altrimenti appunto se davvero fosse concreta
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questo abbandono dell'Europa, noi vedremo le centinaia di basi, le decine di migliaia di
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soldati non essere più nel nostro continente. Questa continua ripresa della minaccia nucleare,
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che ovviamente non è solo occidentale, pensiamo alle minacce espresse da Putin e Medevede negli
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ultimi anni, le minacce di Israele negli ultimi mesi, è problematica e dà ragione a noi,
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alle campagne internazionali che vorrebbero mettere al bando queste armi quando dicevamo
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che non era un problema risolto e invece ci dicevano ma no ormai solo cinque paesi ce le
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hanno ufficialmente, quattro non ufficialmente, è tutto sotto controllo. Purtroppo le armi nucleari
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hanno un pericolo, un impatto così grave che possono essere messe sotto controllo solo in
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un modo, eliminandole completamente. Invece la campagna contro il nucleare sta perdendo vigore
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oppure diciamo in questo momento diciamo così si risveglia e torna di nuovo al centro del dibattito?
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Noi stiamo continuando a lavorare, io all'inizio di marzo sono stato a New York per la conferenza
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degli stati parte del trattato che ormai ha 75 paesi aderenti e 94 firmatari, vuol dire che
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sta sempre di più crescendo nei confronti dei paesi e delle comunità colpite, delle opinioni
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pubbliche, di coloro che sanno che si prenderebbero in testa una guerra nucleare come tutti noi perché
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una guerra nucleare porterebbe probabilmente all'estinzione dell'umanità. C'è questo vigore
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nella ripresa e nella sottolineatura che quanto meno esiste un'alternativa. Ecco noi abbiamo
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costruito con il trattato TPNW, intratto in vigore nel 2021 e firmato e votato nel 2017,
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almeno l'esistenza di un'alternativa. Chiunque sa che c'è questo problema non può dire sarebbe
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bello mettere al bando ma non sappiamo come fare. Il trattato dice come fare in maniera concreta.
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Senta l'Europa ha fatto diciamo una scelta di campo, bisogna riarmarsi ad ogni costo anche a
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costo di tagliare il welfare e dietro dicevamo c'è Trump, l'abbiamo citato prima, che chiede
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il 5% del PIL in armi e però voglio dire la Polonia è già al 4,7% per dire. Tanti stati
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sono d'accordo su questo riarmo, compresa l'Italia, ma esiste un'alternativa a questa
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strada? Sì, anche perché questa strada non è percorribile. Non ci hanno mai detto perché il
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2%, poi il 3,5, poi il 5% del PIL dovrebbe essere una cosa che ci garantisce la sicurezza. È solo
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fatto per alzare la spesa militare e soprattutto per alzare la scuota in armamenti di spesa militare,
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che è quella che è cresciuta in maniera veramente drammatica negli ultimi tempi. Pensiamo che
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l'Italia ormai il 40% della spesa militare va in nuove armi, ma non c'è un motivo. Anzi,
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è il contrario. Negli ultimi 25 anni, dall'inizio del secolo, le spese militari mondiali sono
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raddoppiate in termini costanti, quindi paragonabili, eppure abbiamo un mondo con
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più guerre, più morti civili nelle guerre, più insicurezza. Forse bisognerebbe invertire la rotta
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ed è per questo che noi proprio dal 10 aprile al 10 maggio, come campagna internazionale contro
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le spese militari e ferma il riarmo, che è la branca italiana di questa campagna, faremo un
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mese di mobilitazione. Attenzione, è importante anche sottolineare che questa strada non solo
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sarebbe da percorrere perché ovviamente crea più insicurezza che altro, ma perché è impossibile
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farlo, soprattutto per un paese come l'Italia. 5% del PIL, ripeto, nemmeno spiegato dal punto
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di vista militare, vorrebbe dire 120-130 miliardi di euro all'anno in spesa militare. Oggi siamo a
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32, dove li troviamo altri 100 miliardi in più in maniera costruttiva, costante, e soprattutto
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per cosa li impieghiamo? Non avremmo spazio nemmeno per ottenere tutti i carri armati,
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gli aerei, le navi che bisognerebbe comprare. Ecco, bisognerebbe invece percorrere una strada
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diversa di sicurezza condivisa e globale. Francesco Zipoli, economista dell'ACA Foscari,
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a questo proposito, parla di crisi dell'economia UE e cita per esempio l'Automotive, che dice
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viene usata contro la transizione ecologica per sostenere la conversione bellica. Ecco,
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quello che io le chiedo è se noi siamo già in un'economia di guerra. Non lo siamo ancora del
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tutto fortunatamente, c'è ancora il tempo a mio parere per cambiare rotta davvero. Di sicuro
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quello che vediamo sono le sirene di coloro che sostengono gli interessi di questo comparto
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militare industriale finanziario, perché dietro c'è la grande finanza che è la padrona vera di
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tutte le grandi industrie militari, ma senza un senso reale, senza un vantaggio per tutti. E
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quello che viene fatto in questi giorni è anche riproporre la tematica economica. Beh,
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investire in armi ci porta quantomeno un po' di benessere, ci porta quantomeno un po' di ritorno.
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Non è vero, tutti gli studi dagli Stati Uniti all'Europa e anche sull'Italia,
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che abbiamo fatto con Greenpeace, con Sbilanciamoci come rete pace e disarmo,
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dimostrano che l'investimento in armi è quello con un minor ritorno economico,
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minor ritorno di posti di lavoro. Se vogliamo davvero far ripartire l'economia europea,
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rafforzarla, possiamo investire in tante altre cose, nell'ecologia, nell'ambiente,
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nella sanità, nella scuola, nelle energie rinnovabili, in tante altre cose anche dal
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punto di vista industriale che ci porterebbero un maggior vantaggio e soprattutto non contribuirebbero
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a costruire strumenti di morte, strumenti armati che poi finiscono ad essere utilizzati nei conflitti.
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Certo, la cultura della pace invece è finita, anche se bisogna dire che le resistenze nell'opinione
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pubblica insomma sembra che resistano, ci siano ancora, lo vediamo, insomma tanti sondaggi ci
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dicono che comunque l'ipotesi del riarmo della guerra non è propriamente ben accolto. L'Europa
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secondo lei sta abdicando ai principi stessi per cui è nata, cioè la coesione tra i popoli,
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della pace, della stabilità, la democrazia. Sì, purtroppo sì, i governanti europei stanno
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andando in quella direzione ammagliati dalle sirene appunto degli interessi armati ed è
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importante invece sottolineare che proprio perché l'Europa ha scommesso su qualcosa di diverso dal
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riarmarsi, che è riuscita a diventare un continente per buone parti in pace. Noi lo
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diamo per scontato che gli stati europei non si facciano la guerra ma per secoli è stato così e
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solo quando si è messo in comune quello che si aveva e per cui prima magari si litigava e si
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confliggeva siamo riusciti a fare un passo avanti. Tornare indietro non solo comporterebbe un
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contributo negativo alla sicurezza globale ma potrebbe anche portare davvero a un problema
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di ritorno della guerra tra gli stati europei. È vero che nell'opinione pubblica, soprattutto
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italiana, molto di più che nelle altre opinioni pubbliche del nostro continente, c'è comunque una
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resistenza di idea pacifista, idea non violenta. Ho appena fatto un'intervista anche con Le Monde
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che ne ha parlato perché è strano. Probabilmente dipende dalla tradizione culturale del nostro
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paese e da tutta una serie di concause ma noi dobbiamo ripartire da quello e soprattutto dobbiamo
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chiedere anche che non ci sia quel gap di democrazia per cui le opinioni pubbliche in
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Italia e in Europa chiedono più pace, più controllo degli armamenti, più disarmo e invece i governi
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vanno nella direzione opposta. Le faccio un'ultima domanda riguardo diciamo un elemento
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che è sempre stato diciamo almeno negli ultimi decenni diciamo così al centro, il tentativo di
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dirimere appunto le controversie che è quello della diplomazia che invece in questo momento
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sembra scomparso anche se paradossalmente Trump almeno per quanto riguarda il conflitto
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ucraino sembra averla rimessa in campo. Voglio però citarle Rosy Bindi che avverte, dice che
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è necessario distinguersi dai pacifisti strumentali ecco insomma ci viene facile
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pensare che anche in questo caso ci siano delle strumentalizzazioni pensiamo
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per esempio anche al come dire al diverso approccio che si ha nei confronti della guerra
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israelo-palestinese. Che lettura si può fare ecco su questo punto? Io concordo sul fatto che non
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perché qualcuno c'è in questo momento magari sta cercando un cessate il fuoco sia da considerarsi
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un vero operatore di pace io non credo che Trump sia un pacifista non credo che Putin siano pacifisti
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apprezzo il fatto che si stia cercando di cessare il fuoco perché questo è il primo elemento che
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permette poi di costruire una vera pace ma non possiamo festeggiare Trump come l'uomo che porta
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la pace perché in realtà sta facendo solo gli interessi nemmeno degli stati uniti secondo me
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ma di quel comparto quella parte quella classe statunitense diciamo padrona dal punto di vista
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anche dei miliardi che ha a disposizione ecco quindi bisogna saper distinguere il fatto che
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ovviamente fermare la guerra è un punto fondamentale dal risultato finale quello non è il risultato
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finale noi pensiamo una pace positiva cioè non solo l'assenza di guerra ma una presenza di diritti
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per tutti di democrazia e quindi ovviamente anche un cessate il fuoco non sarebbe la soluzione finale
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e bisognerebbe da lì ripartire devo dire che è importante poi sottolineare che da un lato c'è la
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democrazia ma chiedo scusa la diplomazia ma la democrazia per funzionare ha bisogno di un contesto
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di regole ha bisogno di un diritto internazionale che funzioni altrimenti chi può stabilire cosa è
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giusto cosa è sbagliato cosa è positivo cosa è ecco cosa va in una direzione giusta e quindi
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purtroppo un altro degli errori storici dell'europa in questo periodo è proprio che con il doppio
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standard continuo che continua ad applicare avete giustamente citato la situazione a gaza
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rispetto a quella in ucraina si sta contribuendo a devastare e a distruggere il diritto internazionale
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e a quel punto senza norme senza diritto davvero si va verso la legge del più forte cosa che non
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è accettabile soprattutto perché la legge più forte cosa calpesta soprattutto la vita il futuro
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la dignità dei popoli
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