THOMAS STEARNS ELIOT. REALTÀ E PROFEZIA di Antonella Pederiva Dov’è la vita che abbiamo perso vivendo? Dov’è la saggezza che abbiamo perso nella conoscenza? Dov’è la conoscenza che abbiamo perso nell’informazione? Tratto da Cori da “La Rocca”, la più snobbata ma, soprattutto, la più profetica opera di uno dei più grandi poeti di tutti i tempi, Thomas Stearns Eliot, premio Nobel per la letteratura nel 1948, autore di diversi altri poemi, alcuni dei quali destinati al teatro: Il canto d'amore di J. Alfred Prufrock, La terra desolata, Gli uomini vuoti, Ash Wednesday, Quattro quartetti, Assassinio nella cattedrale e Cocktail Party. Esponente rappresentativo, insieme a James Joyce, Virginia Woolf e Ezra Pound, della corrente modernista, Eliot si soffermò ad analizzare la crisi della cultura occidentale, sottolineando, nel contempo, l’alienazione e il senso di solitudine di una società basata sul progresso scientifico, con uno stile innovativo lontano dalle immagini poetiche tradizionali. I suoi versi, costruiti attraverso immagini simboliche, dialoghi e ricordi, possono forse non essere di facile comprensione per un lettore non abituato all'intelligente gioco di rime e assonanze contrapposte che nascondono messaggi di rara profondità profetica. In luoghi abbandonati Noi costruiremo con mattoni nuovi. Vi sono mani e macchine E argilla per nuovi mattoni E calce per nuova calcina. Dove i mattoni son caduti Costruiremo con pietra nuova, Dove le travi son marcite Costruiremo con nuovo legname, Dove parole non son pronunciate Costruiremo con nuovo linguaggio. C’è un lavoro comune, Una Chiesa per tutti, E un compito per ciascuno: Ognuno al suo lavoro. (da Cori da "La Rocca") Le parole del poeta calzano a pennello in questo nostro particolare momento storico in cui tutto sembra senza senso dove le contraddizioni sono all'ordine del giorno, dove la politica e la cronaca, amplificano a dismisura situazioni ed episodi, connotandole a seconda delle loro necessità. Facile, in questo contesto, paragonarci agli uomini-ombra, gli abitanti della terra desolata di "The hollow men", Gli uomini vuoti, del suo Poemetto del 1925. Forse che non vaghiamo incerti in un oceano di dubbi? Siamo gli uomini vuoti Siamo gli uomini impagliati Che appoggiano l'un l'altro La testa piena di paglia. Ahimè! Le nostre voci secche, quando noi Insieme mormoriamo Sono quiete e senza senso Come vento nell'erba rinsecchita O come zampe di topo sopra vetri infranti Nella nostra arida cantina Figura senza forma, ombra senza colore, Forza paralizzata, gesto privo di moto; Coloro che han traghettato Con occhi diritti, all'altro regno della morte Ci ricordano – se pure lo fanno – non come anime Perdute e violente, ma solo Come gli uomini vuoti Gli uomini impagliati. "Il destino attende nella mano di Dio", scrive Eliot nel suo Assassinio nella Cattedrale, "non nelle mani degli uomini di Stato che, chi bene chi male, fanno piani ed enigmi mentre i loro scopi gli si trasmutano ..continua su emmeavi