La legge n. 194/78 ad alcuni potrebbe dire poco, ma per altri rappresenta un passaggio storico fondamentale. È la legge che al primo articolo recita: “Lo Stato garantisce il diritto alla procreazione cosciente e responsabile, riconosce il valore sociale della maternità e tutela la vita umana dal suo inizio.” Al secondo comma, invece, si menziona l’interruzione volontaria della gravidanza a cui, secondo la stessa legge, una donna può ricorrere in una struttura pubblica entro i primi 90 giorni di gestazione nel caso in cui la gravidanza, il parto o la maternità possano mettere in pericolo la salute psichica o fisica della donna. La legge n 194/78, in un periodo dai contorni valoriali diversi, depenalizzava l’aborto e disciplinava le sue modalità di accesso. Tre anni prima, con la legge del 29 luglio 1975, la n 405, si istituivano i consultori, ossia quei servizi sociosanitari integrati di base che rappresentano uno strumento fondamentale per attuare tutti gli interventi previsti a tutela della salute della donna. Nonostante siano passati quasi 50 anni, questo diritto previsto per le donne dalla legge è tutt’altro che garantito perché – ad esempio – nella Asl Roma 2, quattro consultori su venti non funzionano a pieno e per di più c’è mancanza di personale. In Italia il servizio è gestito e organizzato dalle varie regioni, fornito istituzionalmente dalle ASL e rientra tra le prestazioni del Servizio sanitario nazionale. Questo a testimonianza del fatto che, quando si parla di consultori, si dovrebbe andare ben al di là del solo tema “aborto” perché in queste strutture si fornisce assistenza psicologica e sociale a chi vi fa ricorso, si tutela la salute della donna e del frutto del concepimento, di divulgazione delle informazioni – come rimanda il termine stesso “consultorio” -, ma la realtà è che l’argomento desta ancora molto scalpore e divide l’opinione pubblica e le masse, come avvenuto ultimamente dopo l’approvazione da parte del Senato della presenza di gruppi pro vita nei consultori.
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