Un'opera che attraversa decenni di trasformazioni storiche e sociali. Un lungo viaggio verso la libertà di essere se stessi. Nonostante tutto e nonostante tutti. Come dimostra la clip in anteprima esclusiva che vedete qui sopra. Dopo essere stato presentato in concorso all'80ma Mostra del Cinema di Venezia, Questa sono io arriva nelle sale italiane dal 29 maggio distribuito da I Wonder Pictures.
Il lungometraggio è diretto da Małgorzata Szumowska e Michał Englert, per la terza volta in coppia alla regia dopo Non cadrà più la neve (che era in concorso a Venezia 2020) e Infinite Storm. E si inserisce nel percorso artistico dei due registi polacchi che continuano a esplorare temi di grande attualità sociale. Il titolo originale, Woman Of, rappresenta un omaggio ad Andrzej Wajda e a due dei suoi film più influenti, Man of Iron e Man of Marble.
La trama di "Questa sono io"
Il film narra un'epopea lunga 45 anni alla ricerca della libertà di essere se stessi, ambientata nella Polonia attraversata da trasformazioni storiche tra comunismo e capitalismo. Protagonista è Aniela, che fin dalla prima infanzia si riconosce come donna, nonostante sia stata assegnata maschio alla nascita con il nome di Andrzej.
Da giovane, Aniela si innamora di Izabela, la sposa e con lei ha due figli. Tuttavia, anno dopo anno, capisce che la vita che sta vivendo non riflette la sua identità autentica. Il bisogno di vivere apertamente come la donna che è sempre stata diventa sempre più profondo, portandola a intraprendere un percorso di affermazione di genere.
Fin dall'infanzia Andrzej aveva sognato di vestirsi da sposa e si dipingeva le unghie con lo smalto rosso, ma il desiderio di indossare abiti femminili e di riconoscersi in un corpo diverso da quello assegnato dalla biologia la porterà a esplorare la possibilità di arrivare all'agognata riassegnazione di genere.
Un percorso difficoltoso tra ostilità e burocrazia
C'è molta verità in Questa sono io. Perché il cammino di Aniela si rivela particolarmente difficoltoso, esattamente come lo sarebbe quello di una persona nella sua situazione in Polonia. La protagonista incontra l'ostilità di molti, soprattutto del governo polacco, che non vuole regolamentare il riconoscimento di genere e ostacola le persone transgender attraverso una ostinata burocrazia e cure mediche costose non rimborsabili dal sistema sanitario. Questa non è finzione cinematografica.
Ma le difficoltà arrivano anche dalle persone più vicine: i genitori, la moglie, i figli e il fratello, tutti rigorosamente cisgender. Durante la transizione, Andrzej corre il rischio di perdere l'affetto e la complicità delle persone a lei più care, in una società che favorisce la polarizzazione delle opinioni ed è riluttante ad accettare convinzioni che in altre parti del mondo sono ormai diventate norme sociali.
Perché per i registi Aniela è un simbolo
«Si tratta di un film davvero importante per noi», commentano Małgorzata Szumowska e Michał Englert, registi, co-sceneggiatori ed ex coniugi. «È ilfrutto di tanti anni di lavoro e infiniti incontri con persone transgender di tutte le età, che vivono in Polonia da molti anni e che gentilmente si sono fidate di noi e hanno condiviso le loro storie».
I registi vedono in Aniela un simbolo, una metafora della transizione della Polonia stessa: «Aniela - che nel suo faticoso percorso verso la libertà ha vissuto come uomo per quasi metà della sua vita in una cittadina di provincia - ci è sembrata una metafora della transizione della Polonia, riflesso di una società che in passato si era unita per far crollare il regime comunista».
«Speriamo che il film aiuti a comprendere cosa significhi essere trans, e accresca il sostegno a leggi che garantiscano una vita sicura», concludono i registi. Sottolineando che «il film non vuole giudicare nessuna delle posizioni presentate. Il suo elemento più significativo è l'umanità che traspare dalla commovente storia dei protagonisti, seguiti con rispetto dalla nostra macchina da presa».
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Il lungometraggio è diretto da Małgorzata Szumowska e Michał Englert, per la terza volta in coppia alla regia dopo Non cadrà più la neve (che era in concorso a Venezia 2020) e Infinite Storm. E si inserisce nel percorso artistico dei due registi polacchi che continuano a esplorare temi di grande attualità sociale. Il titolo originale, Woman Of, rappresenta un omaggio ad Andrzej Wajda e a due dei suoi film più influenti, Man of Iron e Man of Marble.
La trama di "Questa sono io"
Il film narra un'epopea lunga 45 anni alla ricerca della libertà di essere se stessi, ambientata nella Polonia attraversata da trasformazioni storiche tra comunismo e capitalismo. Protagonista è Aniela, che fin dalla prima infanzia si riconosce come donna, nonostante sia stata assegnata maschio alla nascita con il nome di Andrzej.
Da giovane, Aniela si innamora di Izabela, la sposa e con lei ha due figli. Tuttavia, anno dopo anno, capisce che la vita che sta vivendo non riflette la sua identità autentica. Il bisogno di vivere apertamente come la donna che è sempre stata diventa sempre più profondo, portandola a intraprendere un percorso di affermazione di genere.
Fin dall'infanzia Andrzej aveva sognato di vestirsi da sposa e si dipingeva le unghie con lo smalto rosso, ma il desiderio di indossare abiti femminili e di riconoscersi in un corpo diverso da quello assegnato dalla biologia la porterà a esplorare la possibilità di arrivare all'agognata riassegnazione di genere.
Un percorso difficoltoso tra ostilità e burocrazia
C'è molta verità in Questa sono io. Perché il cammino di Aniela si rivela particolarmente difficoltoso, esattamente come lo sarebbe quello di una persona nella sua situazione in Polonia. La protagonista incontra l'ostilità di molti, soprattutto del governo polacco, che non vuole regolamentare il riconoscimento di genere e ostacola le persone transgender attraverso una ostinata burocrazia e cure mediche costose non rimborsabili dal sistema sanitario. Questa non è finzione cinematografica.
Ma le difficoltà arrivano anche dalle persone più vicine: i genitori, la moglie, i figli e il fratello, tutti rigorosamente cisgender. Durante la transizione, Andrzej corre il rischio di perdere l'affetto e la complicità delle persone a lei più care, in una società che favorisce la polarizzazione delle opinioni ed è riluttante ad accettare convinzioni che in altre parti del mondo sono ormai diventate norme sociali.
Perché per i registi Aniela è un simbolo
«Si tratta di un film davvero importante per noi», commentano Małgorzata Szumowska e Michał Englert, registi, co-sceneggiatori ed ex coniugi. «È ilfrutto di tanti anni di lavoro e infiniti incontri con persone transgender di tutte le età, che vivono in Polonia da molti anni e che gentilmente si sono fidate di noi e hanno condiviso le loro storie».
I registi vedono in Aniela un simbolo, una metafora della transizione della Polonia stessa: «Aniela - che nel suo faticoso percorso verso la libertà ha vissuto come uomo per quasi metà della sua vita in una cittadina di provincia - ci è sembrata una metafora della transizione della Polonia, riflesso di una società che in passato si era unita per far crollare il regime comunista».
«Speriamo che il film aiuti a comprendere cosa significhi essere trans, e accresca il sostegno a leggi che garantiscano una vita sicura», concludono i registi. Sottolineando che «il film non vuole giudicare nessuna delle posizioni presentate. Il suo elemento più significativo è l'umanità che traspare dalla commovente storia dei protagonisti, seguiti con rispetto dalla nostra macchina da presa».
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