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Pablo Trincia: "Rigopiano ? stata una chiamata"
Quotidiano Nazionale
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18/11/2024
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Cortometraggi
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Pablo, lei ha indagato molti aspetti di questo paese, eppure Rigopiano ha qualcosa di diverso
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perché è entrato nel cuore e nell'anima degli italiani. Che risposta si dà a questo?
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Perché? Perché è diverso?
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Rigopiano è una storia diversa dalle altre perché in quell'albergo ci potevamo essere
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tutti noi, ci siamo stati tutti noi. Tutti noi ci siamo ritagliati un paio di giorni
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di pausa dalla vita, dal lavoro, dallo stress, e ci siamo regalati un momento, una coccola,
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un momento di svago. E le persone che si trovavano all'interno di quell'albergo sono state
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colpite quando erano più vulnerabili, in un momento di grande vulnerabilità. Da sole,
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isolate, lassù, nessuno li stava andando a prendere, c'erano chilometri di neve che
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li dividevano dalla città, dal paese più vicino. E quindi credo che tanti di noi si
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siano rivisti in tutte queste persone, in queste coppie, in queste famiglie, nelle persone
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che magari lavoravano lì dentro. Quindi è una storia di legami spezzati, è una storia
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di famiglie travolte, e questo secondo me avvicina moltissimo i protagonisti di questa
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vicenda a tutti gli altri. Ed è il motivo per cui ho scelto questa storia. Io questa
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storia l'ho scelta perché dopo aver fatto un grosso lavoro sulla storia della Costa
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Concordia, tante persone mi hanno scritto Rigopiano, Rigopiano, Rigopiano, per favore
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occupati di Rigopiano, per favore racconta Rigopiano, è stata proprio una chiamata dal
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pubblico. E io questa volta ho deciso di ascoltare questo consiglio, ho detto evidentemente c'è
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qualcosa in quella storia che tocca le corde di tante persone e quindi forse è il caso
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di occuparcene. Lei è un giornalista d'inchiesta, con il rispetto che si deve alle sentenze
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e tra poco ci sarà la Cassazione, che risposta si dà alla domanda se la strage era prevedibile
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o no. La strage era sicuramente prevedibile e sta scritto ovunque, a prescindere da qualsiasi
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sentenza. Io le leggo le sentenze, però poi non è che le sentenze ci dicono che cosa
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è successo, ce lo dice il mondo intorno a noi, ce lo dice la storia che è più grande
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delle sentenze e la storia racconta che nel 1992 è stata fatta una legge chiara che prevedeva
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la realizzazione di una mappa per il pericolo Palanghe. Questa mappa avrebbe definito in
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quali zone si sarebbe o potuto costruire o sarebbero potuti stare gli ospiti, in quale
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periodo dell'anno, in quale stagione. Era una legge molto intelligente che però non
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è stata applicata per 25 anni, perché dal 1992 al 2017 ci sono 25 anni e la mappa poi
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è stata completata nel 2021, quindi addirittura 29 anni e questo è indicativo, perché se
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ci fosse stata probabilmente noi non saremmo seduti qui a parlarne. Quindi era una tragedia
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assolutamente prevedibile, lo era 25 anni prima, lo era due settimane prima, quando
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si sapeva che c'era un'allerta meteo, quando si sapeva che le strade dell'Abruzzo sono più
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strette, sono stradine di montagna che appena c'è un po' di neve si bloccano, era già successo un
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anno e mezzo prima, l'albergo era stato bloccato per tre giorni, si poteva prevedere il giorno
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prima della tragedia, quando sapendo che non c'era una turbina, che la turbina di Rigopiano
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era rotta, si sarebbe dovuto chiudere la strada a salire e lasciando semplicemente andare via
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gli ospiti, ma poi l'albergo andava chiuso e la strada andava chiusa, tutte cose che non sono
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state fatte, ecco che all'improvviso 40 persone si ritrovano nel punto esatto in cui arriva una
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delle valanghe più grandi della storia d'Europa. Quindi sì, era assolutamente prevedibile.
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Il suo viaggio è documentale ma anche emotivo, che cosa si porta nel cuore dopo questa lunga
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indagine sulla strage? È stato un viaggio emotivo molto difficile, molto molto complesso perché io
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a volte mi occupo del dolore di una persona, due protagonisti di una storia che magari hanno subito
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un omicidio, una storia di cronaca, le vittime sono sempre poche, tra virgolette, qui ce ne erano
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tante e entrare in casa di tutte queste persone avrà a che fare con loro, sentire ognuna che ti
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racconta il suo dolore dal principio, sentire il legame che queste persone avevano con le vittime,
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entrare nelle stanze, entrare nella cameretta di Valentina Ciccioni che è ancora lì, che i
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genitori hanno conservato come un santuario, entrare nella stanza di Marinella dove c'è il
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papà che ancora tutti i giorni va lì a pregare, a guardare i lumini sul comodino, incontrare Marco
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Foresta che a un certo punto tira fuori questa busta con dentro quello che rimane degli oggetti
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che appartenevano ai suoi genitori, è pesante, ogni volta è pesante, ovviamente è imparagonabile
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al dolore che queste persone hanno vissuto e ancora vivono, però entrare e uscire da tutte
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queste case, da tutti questi incontri emotivamente è devastante, però è importante raccontare
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l'emotività delle persone senza fare tv del dolore, l'emotività fa parte della storia,
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il dolore fa parte della storia, la paura, l'ansia, la rabbia fanno parte della storia perché noi
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raccontiamo storie di esseri umani e quindi sono tutti elementi che vanno raccontati perché sono
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quelli che uniscono tutti noi, che eliminano la distanza che c'è tra il palco e la platea e
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quindi diventa una storia collettiva, diventa una storia in cui tutti si sentono connessi,
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anche chi sta a Trento o chi sta a Messina si sente parte della stessa storia, perché
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l'importante è non solo ascoltarla ma sentirla con il corpo, le storie si devono sentire,
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tra di di sentire addosso per capire veramente che cosa è successo devi provare anche solo
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una frazione di quello che quelle persone hanno provato.
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