La moda è un monopolio? Molti dei marchi di moda che conosciamo appartengono, insieme ad altri generi di consumo, a due grandi gruppi finanziari. E fin qui nulla di nuovo. Sappiamo infatti che LVMH possiede 18 marchi di moda, 22 di alcool e champagne, 10 di gioielli e orologi, 11 di profumi, 5 distributori, tra cui Sephora e Le Bon Marché, 4 catene di hotel e ristoranti, tra cui Belmond e Cova, valigie e stampa, Les Echos, Le Parisien e da poco Paris Match. È stato sponsor dell'Olimpiade di Parigi ed è entrato in Formula 1 come main sponsor. Oltre a possedere, sempre a Parigi, uno degli spazi più belli al mondo per l'arte contemporanea, la Fondation Louis Vuitton.
Anche Kering non se la passa male, con i suoi 12 marchi di moda e soprattutto la, proprietà di Creative Artists Agency, agenzia che rappresenta molti attori di Hollywood tra cui Salma Hayek, moglie di François Henri-Pinault che è a capo del gruppo. E in quanto all'arte basti citare Palazzo Grassi e Punta della Dogana a Venezia, oltre alla Bourse a Parigi. Quindi anche la moda partecipa a quella concentrazione in atto con le multinazionali? Sappiamo quanto potere abbia Meta, Amazon o Elon Musk, che più che Tesla possiede satelliti con i quali, se volesse, potrebbe lasciarci tutti disconnessi e senza funzioni vitali per le nostre democrazie.
In questi giorni mi è ricapitato tra le mani Anarchia, il libro uscito nel 2019 e che all'epoca avevo letto con molto interesse, in cui William Dalrymple racconta come la Compagnia delle Indie Orientali, da impresa commerciale, si sia trasformata in un esercito armato in grado di consegnare, dietro vantaggi monopolistici, l'India alla Gran Bretagna, e di imporre allo stesso Stato inglese la propria strategia in tutta la regione. Scrive Dalrymple: "la Compagnia delle Indie Orientali resta tuttora il più infausto avvertimento della storia sulla possibilità di un abuso di potere da parte delle grandi società, e sui mezzi insidiosi con cui gli interessi degli azionisti possono in apparenza diventare quelli dello Stato. Cioè fino a confondere gli Stati con le aziende". Fortunatamente noi oggi abbiamo gli organismi dell'Antitrust che vigilano su questo aspetto, ma c'è comunque da riflettere.