In quasi tutti gli insetti la temperatura corporea si adegua a quella dell’ambiente in cui vivono. Solo alcuni possono rendersi indipendenti dalla temperatura ambientale. L’ape si trova fra questi ultimi. I suoi meccanismi di termoregolazione le consentono di sopravvivere in condizioni climatiche che variano dai – 45,5° delle zone polari a + 49° dell’equatore. L’unica esigenza per questa sopravvivenza è che nella zona vi sia un periodo nel quale il clima consenta la fioritura di piante pollinifere e nettarifere sulle quali bottinare normalmente. Le api, pur essendo individui eterotermi, cioè con temperatura corporea soggetta a notevoli escursioni, possiedono però un potere di termoregolazione capace di stabilizzare il calore del corpo in funzione dell’ambiente e delle diverse necessità. Esse percepiscono le variazioni della temperatura ambientale tramite termorecettori situati soprattutto nelle antenne e attuano la termoregolazione costituendo famiglie composte da numerosi individui, che vivono protetti in un nido, dove le costruzioni di cera e le stesse riserve alimentari agiscono da coibenti o isolanti. Quando la temperatura ambientale scende a 12°/14°, le api adulte, destinate a svernare, cominciano a riunirsi in piccoli gruppi, che confluiscono poi, quando la temperatura tocca i 10°, in un unico grappolo o come viene chiamato in gergo “glomere“, costituito da un numero diverso di individui (5.000 – 30.000). Il glomere può essere considerato un super-organismo, nel quale, contrariamente a quanto accadde per il singolo individuo, il rapporto tra superficie di dispersione calorica e volume corporeo risulta favorevole alla conservazione del calore. Infatti, mentre un’ape isolata non sopravvive per più di un’ ora a – 4°, diecimila api possono sopravvivere per circa 13 giorni a una temperatura di – 15°. Alla formazione del glomere le api giungono gradualmente attraverso una fase preparatoria, durante la quale in ogni operaia aumentano le riserve adipose e il volume delle ghiandole ipofaringee, mentre nella regina aumenta il volume degli ovari. Contemporaneamente diminuiscono il normale contenuto acquoso nei tessuti, per evaporazione dei liquidi attraverso le trachee, i cui spiracoli restano più aperti per l’aumentata quantità di anidride carbonica contenuta nell’aria del glomere, rispetto alle altre zone dell’arnia. Il glomere si muove passando da un favo all’altro, per avvicinarsi alle riserve di miele, può salire verso la parte più alta dell’arnia, ma di norna non scende. Immagini Fernando Menichini