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L’inganno perfetto – Film breve italiano | Tradimenti, inganni e verità nascoste
Pippa La pazza
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05/07/2025
Un amore che non doveva esistere.
Una bugia che diventa realtà.
Un piano che cambia tutto.
Questo mini film ti condurrà in un vortice di passioni e colpi di scena.
Guarda ora "L’inganno perfetto".
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Divertenti
Trascrizione
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L'inganno perfetto, quando l'amore si trasforma in crimine.
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Sofia aveva 28 anni quando mise piede per la prima volta nella villa della fondazione.
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Veniva da una cittadina qualunque, con pochi sogni e troppe insicurezze, ma gli occhi spalancati
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sull'eleganza di quel mondo, il marmo lucido dei corridoi, i profumi raffinati, le voci
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educate che sussurravano nelle stanze.
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Tutto sembrava un sogno troppo perfetto per appartenere alla realtà.
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La direttrice della fondazione, Rebecca, era l'immagine stessa dell'eccellenza.
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Trent'anni appena, bellezza disarmante, abiti su misura e un portamento che faceva girare
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la testa anche a chi non sapeva guardare davvero.
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Suo marito Alessandro, tecnico e coordinatore degli eventi, era l'ombra maschile dietro
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quel successo. Discreto, affascinante, pronto a sorridere senza scoprirsi mai del tutto.
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Sofia Ai all'inizio era solo un ingranaggio silenzioso. Un'agenda sempre aperta tra le
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mani, dita veloci sulla tastiera, la voce gentile al telefono con fornitori e benefattori.
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Nessuno le chiedeva nulla oltre il necessario. Eppure, a poco a poco, divenne indispensabile.
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Era successo tutto in silenzio, con la delicatezza di una goccia che scava la pietra. Alessandro
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cominciò con sguardi fugaci, brevi sorrisi lanciati tra una conferenza e una verifica
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impianti. Poi una battuta all'orecchio, un complimento sottovoce mentre passava alle
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sue spalle. Le prime volte Sofia arrossiva, cercava di ignorarlo. Ma in fondo sentiva
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il cuore accelerare. C'era qualcosa di vivo, di proibito in quei momenti. Un filo teso
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tra la paura e il desiderio. La sera dell'evento di gala fu il primo scatto. Erano rimasti soli
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nello stanzino tecnico, tra cavi, microfoni e bottiglie vuote. Le luci basse, l'odore del
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vino ancora nell'aria. Le mani di Alessandro sfiorarono le sue. Le sue labbra arrivarono a
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pochi millimetri dal collo. Bastò un attimo. Un respiro. Un cedimento. Da allora nulla fu più
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lo stesso. Si vedevano sempre più spesso, di nascosto. Tra i corridoi della villa, nei
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ripostigli delle cucine, dietro le porte chiuse a chiave degli uffici. A volte lei tornava
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a casa e lui la raggiungeva, con una bottiglia e la scusa di doverle parlare. Ma non parlavano.
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Era sesso, sì, ma non solo. Era la sensazione di essere al centro di un segreto enorme, in
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bilico, su un filo sottilissimo. Era fame, urgenza, passione e poi senso di colpa, gelo
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nello stomaco. Ogni volta che usciva dal letto di Alessandro si chiedeva, perché non riesco
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a fermarmi. Eppure fu Rebecca a spostare l'asse. All'inizio Sofia la guardava con timore reverenziale,
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una dea inarrivabile. Ma qualcosa cambiò. I suoi sguardi si fecero più lunghi, le attenzioni
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più sottili, le mani che si sfioravano quando passavano insieme i fogli, le parole che indugiavano
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su complimenti mai detti prima. Sei davvero preziosa, Sofia. Un giorno le propose di fermarsi
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dopo l'orario per rivedere i discorsi di un evento. Rimasero sole. Ufficio vuoto, luci
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calde, due bicchieri di vino bianco. E fu lì, con una lentezza ipnotica, che Rebecca le
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prese la mano. Il bacio arrivò senza fretta, ma con una forza disarmante. Un bacio diverso
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da quelli di Alessandro. Non fame, ma invito. Non fuoco, ma seta. Sofia si sentì sciogliere,
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come se finalmente qualcuno la vedesse. Davvero.
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Quel triangolo proibito divenne un labirinto. Alessandro la bruciava. Rebecca la avvolgeva.
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Con lui le notti erano feroci, patte di mani che graffiavano e corpi che si cercavano come
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se mancasse il tempo. Con lei i pomeriggi erano lunghi, fatti di carezze sul collo,
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profumo di gelsomino, parole sussurrate con intenzione. Ma in entrambe le stanze, Sofia
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si sentiva viva. E col tempo, anche più spietata. Iniziò a manipolare le firme digitali, piccoli
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prelievi, fatture modificate. Solo per sicurezza, si diceva. Un giorno potrebbero servire. Stava
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costruendo una via di fuga. Poi, una notte, Alessandro parlò. Scappiamo. Le sussurrò nel
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letto. Facciamo sparire tutto. Simuliamo la mia morte. Incastriamo Rebecca e prendiamoci
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tutto. Sofia rimase muta, ma il cuore batteva come impazzito. Paura, eccitazione, confusione.
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Poi annui. Il piano rasentava la follia. A Piacenza, nei pressi della stazione, lo
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individuarono tra i binari e i cartoni. Un uomo smarrito, barba incolta, occhi annebbiati dall'alcol
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o dalla vita. Gli somigliava, vagamente. Quanto bastava. Un senzatetto invisibile per il mondo.
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Troppo debole per reagire. Troppo stanco per sospettare. Alessandro non esitò. Sofia invece
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tremò. Un passo indietro. Il cuore che le graffiava il petto. Ma non disse nulla. Non
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abbastanza da fermarlo. I colpi arrivarono rapidi, sordi, come se il silenzio della notte
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li inghiottisse. Lei si coprì la bocca con le mani. Il corpo collassò senza un suono,
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senza una resistenza. Solo un tonfo umido sull'asfalto. Lo trascinarono fino all'auto.
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Le mani tremavano, mentre gli infilavano nelle tasche l'orologio d'acciaio di Alessandro,
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i suoi documenti, persino il portachiavi con l'iniziale incisa. Tutto doveva combaciare.
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Tutto doveva sembrare vero. Anche l'orrore. Il finto cadavere fu pronto.
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Che la messa in scena fu perfetta, quasi da manuale. Rebecca e Sofia erano abbracciate
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sul divano, mezze nude, i corpi intrecciati tra risate leggere e bicchieri di vino. La
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luce soffusa accarezzava le loro pelle, calda e luminosa, mentre le mani si cercavano, si
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sfioravano con delicatezza e un'intensità che parlava senza parole. I loro sguardi si
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perdevano l'uno nell'altro, carichi di un'intimità profonda, fatta di desiderio e complicità
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segreta. Sofia si avvicinò lentamente a Rebecca, il respiro più profondo, il cuore che batteva
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un ritmo nuovo. Le labbra si sfiorarono, timide all'inizio, poi sempre più audaci. Fu in quel
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momento che la porta si spalancò. Alessandro entrò con passo deciso, il volto contratto
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in una maschera di rabbia trattenuta. La voce tagliente, parole dure e accuse, rimbombarono
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nella stanza. Rebecca si alzò di scatto, confusa e scossa. Sofia, con una calma che tradiva
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il caos dentro di sé, cercò con lo sguardo un oggetto sul tavolino vicino, una statuetta
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di vetro, pesante e solida. Con un gesto rapido, preciso, la afferrò e colpì Alessandro
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alla testa. Finto, ma terribilmente convincente. Lui cadde. Il sangue, finto anch'esso, preparato
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in anticipo, si sparse velocemente sul pavimento. Rebecca rimase pietrificata, incapace di muoversi.
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Sofia la prese per le spalle, stringendole le mani, e la costrinse a guardarla negli occhi.
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Vai, lavati, respira. A lui ci penso io. Rebecca esitò, poi, tra le lacrime, si allontanò
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a piccoli passi verso il bagno. Quando sparì dietro la porta, Alessandro aprì lentamente
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gli occhi. Non disse nulla. Si rialzò piano, con cautela. Un cenno dello sguardo. Poi
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uscì, silenzioso e invisibile. Fece tutto lei. Nel soggiorno, il corpo del senza tetto,
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già pronto nel bagagliaio della macchina, fu sistemato al posto di Alessandro. Stesse scarpe,
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stesso orologio. Portafogli, con i documenti accuratamente posizionati nelle tasche. Quando
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Rebecca tornò, pallida e stravolta, Sofia le prese le mani, stringendole forte. Il corpo era
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avvolto in un vecchio tappeto, pronto per essere caricato. Aiutami a caricarlo in macchina,
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lo dobbiamo far sparire. Con movimenti rapidi e quasi meccanici, sistemarono il corpo nel
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bagagliaio. Sofia si voltò verso Rebecca, lo sguardo duro ma deciso. Ora vado al po'. Farò
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sparire tutto. Tu non hai visto niente. Tu non c'eri. Rebecca annui. Le lacrime che le rigavano
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il volto. Il respiro spezzato dai singhiozzi, incapace di trovare una parola. Sofia salì in
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macchina e si allontanò dalla villa, lasciando Rebecca sola nel buio, avvolta dal dolore e dal
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silenzio. Nascosto nell'ombra, appena fuori dalla villa, Alessandro aspettava immobile,
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il respiro lento e il cuore che batteva a un ritmo controllato. Quando le luci dei fari
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illuminarono il vialetto e Sofia si avvicinò, lui si mosse con decisione, aprendo la portiera
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senza una parola. Salì a bordo con uno sguardo fermo e insieme si immergevano nel buio della
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notte, diretti verso il fiume, complici di un segreto troppo pesante per tornare indietro. Con
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mani tremanti ma decise, gettarono il corpo del senza tetto nel po', lasciandolo scivolare
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lento e silenzioso tra le acque fredde e scure. Poi ripartirono, il motore dell'auto che ronzava
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sommesso, come un complice silenzioso di quella notte impossibile. E lei, per la prima volta,
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si sentiva veramente padrona di tutto. Ma la verità ha la brutta abitudine di riaffiorare,
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soprattutto quando si crede di averla sepolta per sempre. Il corpo venne ritrovato alcune
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settimane dopo, impigliato tra i rami lungo un'ansa del Po. Gonfio, irriconoscibile, ma
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ancora parlante nel suo silenzio. L'autopsia non lasciò spazio ai dubbi. Colpi reali, fratture
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al cranio e alle costole. Nessuna traccia d'acqua nei polmoni. Non era annegamento,
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era omicidio. La villa fu passata al setaccio. Il luminol illuminò la scena come un'accusa.
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Tracce ovunque, sul pavimento, sugli stipiti, persino lungo le scale. Ma quelle macchie non
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erano un errore, non una svista. Erano un'altra parte del piano. Alessandro le aveva lasciate
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di proposito. Il suo sangue, prelevato con cura, sparso ad arte. Una messa in scena dentro
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la messa in scena. Un diversivo. Rebecca venne convocata, interrogata per ore. La sua reputazione
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cominciò a sgretolarsi sotto il peso delle insinuazioni e delle immagini che i giornali
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avevano già trasformato in verità. Lei tremava, confusa, con lo sguardo spento. E Sofia era
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lì. Sempre lì. A confortarla, a tenerle la mano, a portarle il tè con movimenti morbidi
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e sguardo materno. Fingeva. Con grazia. Con pazienza. Con una freddezza che nessuno avrebbe
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mai sospettato. Ma Alessandro stava perdendo il controllo. Nervoso, inquieto, trascorreva
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le giornate rinchiuso in un appartamento affittato sotto falso nome, nei dintorni di Cremona. Telefonava
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a Sofia a ogni ora. Parlava a scatti. Sbuffava. Accendeva una sigaretta dietro l'altra, come
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se il fumo potesse nasconderlo. Si svegliava di soprassalto nel cuore della notte, convinto
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di aver sentito una sirena. Un passo. Una voce. «La stanno smontando, quella recita»,
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mormorava. «Stanno arrivando a noi. Dobbiamo cambiare piano. Fuggire. Lasciare il paese».
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Non era più l'uomo freddo, calcolatore, che aveva diretto ogni mossa. Ora sembrava
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intrappola. Paranoico. Inbilico. E Sofia? Lei lo osservava in silenzio, seduta sul bordo
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del letto, un'ombra di sorriso sulle labbra. Perché ormai tutto lo spettacolo era nelle
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sue mani. E poi, inaspettata, arrivò la svolta. Rebecca, quella che tutti credevano distrutta,
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spezzata per sempre, riemerse dalle sue ceneri. Silenziosa. Determinata. Assunse investigatori
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privati. Incrociò movimenti bancari, fatture, conti intestati a nomi falsi. Tracciò le firme,
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i bonifici, le date. E a poco a poco la verità venne fuori. Una verità scomoda, indecente,
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malampante. Poi, una notte. Tre colpi secchi alla porta. Precisi. Inequivocabili. Nell'appartamento
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si fece silenzio. Il tempo parve sospendersi. Sofia si alzò, come spinta da un istinto antico.
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camminò a passi lenti verso l'ingresso. Il cuore che martellava nel petto. Le mani fredde come marmo.
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Aprì. La polizia. Non disse nulla. Non fece domande. Nel suo sguardo, però, c'era tutto. La
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missione. La fine. La resa. Gli agenti non avevano bisogno di spiegazioni. Erano arrivati
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lì dopo giorni di indagini, pedinamenti, intercettazioni, incroci di dati, movimenti
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bancari, chiamate fantasma. Avevano scoperto anche il rifugio di Alessandro, una casa anonima,
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affittata sotto falso nome, nei dintorni di Cremona. Ma quando fecero irruzione, trovarono
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solo una tazza ancora calda sul tavolo, il vapore che saliva pigro e la porta sul retro socchiusa.
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Alessandro era svanito, come un'ombra, come un fantasma nel buio. Ma Sofia, lei era rimasta,
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forse per orgoglio, forse per ostinazione, o forse perché, fino all'ultimo, aveva creduto di
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avere il controllo. Che niente l'avrebbe mai toccata davvero. Fu portata via senza resistenza. Nessun
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grido. Nessuna lacrima. Solo passi, freddi e lenti, nel corridoio buio dell'arresto. E da lontano,
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dietro i vetri illuminati della villa, Rebecca guardava. Immobile. Le mani strette attorno a una
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tazza di tè ormai fredda. E sulle labbra, un sorriso sottile. Tagliente. Preciso. Definitivo.
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Non era vendetta. Era giustizia. Oggi Sofia siede su una branda metallica. In una cella
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che odora di cloro e rimpianti. Le notti sono lunghe. I pensieri, appuntiti come lame. Ripensa
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ai baci rubati. Agli sguardi complici. Agli inganni che aveva chiamato amore. A Rebecca,
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che forse l'ha amata. O forse solo usata. Ad Alessandro, che l'ha accesa, sedotta e poi lasciata
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bruciare. Ma il pensiero più tagliente è un altro, che forse, alla fine, si è usata da sola. Perché il
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vero inganno non fu il piano. Non fu la morte simulata. Non furono le firme false, né le bugie
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sussurrate nel buio. Il vero inganno fu credere di poter avere tutto. E non perdere nulla. Ma ogni
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desiderio ha un prezzo. E quello di Sofia è stato salato. E voi? Fin dove sareste disposti a spingervi
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per non perdere ciò che amate? Fin dove arrivereste quando l'amore si intreccia al desiderio e il
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confine tra verità e inganno si dissolve? Le storie che raccontiamo non sono solo finzione. Sono
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specchi, ombre. Sono domande che bruciano sotto la pelle. Nuove storie stanno arrivando. Nuove
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verità da svelare. E nuove ferite da raccontare. Iscriviti, seguici, resta con noi. Perché il
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prossimo inganno? La prossima passione? La prossima scelta senza ritorno? Potrebbe essere la tua.
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