Le certezze sono un privilegio, dice il protagonista Mathyas, interpretato da Félix-Antoine Duval, nella clip in anteprima esclusiva che vi mostriamo. Ed è da qui che si parte per scorprie Fino alle montagne. Cioè il film di Sophie Deraspe (regista di Antigone e Les Loups), che arriva nei cinema italiani dal 29 maggio, distribuito da Officine Ubu. La pellicola è liberamente ispirata al romanzo autobiografico D'où viens-tu, berger? di Mathyas Lefebure. Dopo il successo al Toronto International Film Festival 2024, dove ha conquistato il premio per il Miglior Film Canadese, l'opera è stata presentata in anteprima nazionale al 73esimo Trento Film Festival 2025. Dal burnout alla montagna: la storia di Mathyas L'attore canadese Félix-Antoine Duval è Mathyas, un pubblicitario di Montréal afflitto dal vuoto esistenziale della città moderna. Quando la salute lo costringe a fermarsi, prende una decisione radicale: abbandonare tutto per diventare pastore sulle montagne dell'Alta Provenza. Non conosce il mestiere, ma è affascinato da un'immagine idealizzata della vita rurale.
La realtà si rivela ben diversa dai sogni. Il lavoro è durissimo, la solitudine è tangibile e la morte - tra animali malati e predatori - fa parte della routine quotidiana. Le difficoltà burocratiche e un mondo che non riesce a comprendere appieno mettono subito alla prova le sue convinzioni romantiche. L'incontro che cambia tutto con Élise A dare una svolta al percorso di Mathyas arriva Élise, interpretata da Solène Rigot. È una funzionaria statale insoddisfatta del proprio lavoro, affascinata dal sogno di cambiamento del protagonista al punto da licenziarsi per raggiungerlo in montagna. La loro connessione umana, fatta di gentilezza e reciproca cura, trasforma il viaggio solitario in un'avventura condivisa.
Insieme accettano una sfida impegnativa: condurre più di 800 pecore in transumanza verso le Alte Alpi. È l'inizio di una vera odiessea pastorale, dove la natura diventa protagonista assoluta. A volte maestra e madre, altre volte minaccia e salvezza. Un cinema che respira con la natura Sophie Deraspe firma un'opera che non grida mai, seguendo il ritmo naturale dei corpi e dei passi. La regia sensibile costruisce un mondo popolato da volti autentici, spesso non professionisti, che donano al film un senso documentaristico ma mai didascalico. La fotografia di Vincent Gonneville alterna interni bui e densi a esterni luminosi e spirituali, mentre la musica di Philippe Brault accompagna l'opera mescolando classicismo e suggestioni eteree.
Le sequenze della transumanza sono particolarmente suggestive: greggi che avanzano tra strade asfaltate, ponti e piazze, mentre gli automobilisti si fermano a osservare. Un'immagine potente dove il tempo antico si sovrappone al presente senza frizioni, creando un cinema che respira, cammina e osserva. Più che una fuga, "Fino alle montagne" è una riflessione sui nostri tempi Fino alle montagne non è solo la storia di una fuga individuale, ma una riflessione collettiva sui nostri tempi. Il film affronta temi universali come la crisi ecologica, il vuoto esistenziale delle città e la ricerca di senso in un'epoca dominata dalla produttività e dal consumismo.
Mathyas rappresenta l'anti-eroe perfetto: colto ma ingenuo, entusiasta ma impreparato. Il suo viaggio verso una forma più autentica di esistenza dimostra che l'autenticità non è data, va conquistata con mani sporche, notti gelide e decisioni difficili. Élise, dal canto suo, non è una semplice spalla narrativa, ma una presenza forte che salva il protagonista nei momenti di crollo.
Per questo Fino alle montagne si presenta come una fiaba moderna per adulti disillusi, per chi ha pensato almeno una volta di mollare tutto. Non c'è salvezza magica qui, ma scelte coraggiose. La fatica, quando è per qualcosa che amiamo, può essere bellissima. Ma attenzione: siamo davvero sicuri che il messaggio di Deraspe - che cambiare vita non è un sogno folle, ma il modo più coraggioso di restare vivi - sia davvero condivisibile fino in fondo?