Global Slavery Index, tre Paesi arabi tra i primi per schiavitù moderna
  • 11 mesi fa
Roma, 24 mag. (askanews) - Secondo il Global Slavery Index 2023, sono circa 50 milioni le persone in tutto il mondo che vivono in una situazione di "schiavitù moderna", oltre la metà dei quali nei Paesi del G20, in particolare Stati Uniti, Cina, Russia e India. La Corea del Nord, l'Eritrea e la Mauritania sono invece i Paesi maggiormente toccati dalla schiavitù moderna, mentre tre Paesi arabi compaiono per la prima volta nei primi 10 posti.Grace Forrest, fondatrice dell'organizzazione di difesa dei diritti umani Walk Free, che ha compilato il Global Slavery Index 2023: "I migranti lavoratori sono vittime di schiavitù moderna in tutto il mondo e per la prima volta, tre Stati arabi figurano nella Top 10: Arabia Saudita, Kuwait ed Emirati Arabi Uniti. Sappiamo che sistemi come Kafala (in cui il datore di lavoro fa da garante o 'sponsor' per permettere l'ingresso nel Paese di lavoratori stranieri, ndr) stanno creando disuguaglianze sistemiche e degli ambienti di schiavitù moderna per centinaia di migliaia di migranti lavoratori in tutto il mondo"."Gli Stati Uniti - prosegue - hanno conosciuto un forte aumento del numero di persone che vivono in schiavitù moderna, con 1,1 milioni di persone che vivono in schiavitù moderna negli Usa, mentre l'Australia è passata da 15.000 persone in schiavitù moderna nel 2018 a 41.000 persone".Tra i primi 10 Paesi del rapporto Slavery Index anche la Turchia, che accoglie milioni di rifugiati siriani, il Tagikistan e l'Afghanistan. "Questo aumento di 10 milioni di persone nel corso degli ultimi 5 anni si è prodotto in un contesto di crisi combinata, che sia il Covid-19, la crisi climatica o conflitti prolungati nel mondo. Sappiamo che le popolazioni sfollate e i rifugiati sono estremamente vulnerabili alla schiavitù moderna", ha ricordato.Secondo il rapporto, tra i prodotti che sono più a rischio di manodopera forzata ci sono dispositivi elettronici, abbigliamento, olio di palma e pannelli solari. "Perché una t-shirt deve costare meno di un panino. Dobbiamo esaminare il costo reale delle cose che acquistiamo e utilizziamo tutti i giorni e dobbiamo far capire alle aziende che è qualcosa che interessa ai loro consumatori".