Nel 1943, dopo giorni di marcia nella steppa gelata, il 26 gennaio, gli alpini riuscirono finalmente a sfondare le linee russe al ponte della ferrovia di Nikolajewka e ad uscire dalla sacca nella quale erano rinchiusi. Era la strada verso la libertà, ma anche una durissima battaglia contro il gelo, la mancanza di mezzi e il nemico. L’approssimativa preparazione e l’inadeguatezza degli equipaggiamenti per quell’entrata baldanzosa in guerra dell’Italia anche sul fronte russo, sbandierata con i molteplici mezzi della propaganda governativa, venivano ora pagate a duro prezzo dagli alpini che iniziarono una tremenda marcia verso casa, armati solo del loro coraggio e della loro resistenza contro quel Generale Inverno che nel passato aveva già crudelmente piegato anche le truppe militari di Napoleone. Un’altra volta, in un altro punto della storia, dove a pagare le follie dei potenti di turno sono semplici esseri umani mandati allo sbaraglio.
Era la notte bianca di Natale ed era l’ultima notte degli alpini; silenzioso come frullo d’ale c’era il fuoco grande nei camini.
Nella pianura grande e sconfinata e lungo il fiume - parea come un lamento - una nenia triste e desolata che piangeva sull’alito del vento.
Cammina cammina la casa è lontana la morte è vicina e c’è una campana che suona, che suona: Din don, dan... Che suona, che suona: Din don, dan...
(Recitato) Mormorando, stremata, centomila voci stanche di un coro che si perde fino al cielo, avanzava in lunga fila la marcia dei fantasmi in grigioverde. Non è il sole che illumina gli stanchi gigli di neve sulla terra rossa. Gli alpini vanno come angeli bianchi e ad ogni passo coprono una fossa.
(Cantato) Tutto ora tace. A illuminar la neve neppure s’alza l’ombra di una voce lo zaino è divenuto un peso greve; ora l’arma s’è mutata in croce.
Lungo le piste sporche e insanguinate son mille e mille croci degli alpini, cantate piano, non li disturbate, ora dormono il sonno dei bambini.